Mosaici pavimentali - Grande Presbiterio
I gradini dell'asse centrale
Monreale, Duomo. Piante degli ambiti funzionali e spaziali.
A sinistra: in evidenza le due grandi articolazioni funzionali della Basilica, quella laica destinata all'aggregazione e alla mobilità dei fedeli [A], e quella celebrativa e clericale del Presbiterio [B-E].
A destra: in evidenza la pluralità degli ambiti spaziali correlati ai vari piani pavimentali. I piani di calpestio della Basilica si susseguono in un percorso in progressiva elevazione, fisica e spirituale, dalle Navate [A] all'Abside centrale [E].
Legenda: A Piano dell'Aula Ecclesiale [Navate] - B Piano dell'Antipresbiterio - C Piano del Presbiterio - D Piano del Postpresbiterio - E Piano della Tribuna Maggiore.
Il termine "Grande Presbiterio" è usato per indicare l'ampio e articolato complesso spaziale, che si estende da dove termina l'Aula Ecclesiale [lettera A in pianta] fino all'Abside Maggiore del Pantocràtore [lettera E]. Percorrendo la Basilica lungo il suo asse mediano, gli spazi del Grande Presbiterio si susseguono nell'ordine seguente: Atrio del Coro o Antipresbiterio [B] - Coro o Presbiterio [C] - Atrio della Tribuna Maggiore o Postpresbiterio [D] - Tribuna Maggiore [E].
A ciascuna ripartizione funzionale corrisponde un determinato piano pavimentale e una determinata quota di elevazione. Procedendo dalle Navate [A] all'Abside Maggiore [E], i piani di calpestio si innalzano progressivamente, prima di sette gradini, dall'Aula Ecclesiale al Postpresbiterio, poi di altri sette, dal Postpresbiterio alla pedana del grande e ormai dismesso altare della Tribuna Maggiore. Si tratta, ovviamente, di un'elevazione fisica e strutturale, ma interpretabile come stimolo dell'ascesi spirituale di chi, entrato nello spazio sacro e muovendosi in direzione del santuario, esperisce, elevandosi gradualmente di piano in piano, la misteriosa opportunità della propria redenzione.
Monreale, Duomo. Frontali dei gradini di accesso, dal piano della Tribuna Maggiore [lettera E], al piano dell'altare maggiore [11° 12° 13° e 14° gradino].
Monreale, Duomo. Frontali dei gradini di accesso, dal piano del Postpresbiterio [lettera D], al piano della Tribuna Maggiore [lettera E] [8° 9° e 10° gradino].
Monreale, Duomo. Frontali dei gradini di accesso, dal piano del Presbiterio [indicazione C.5], al piano del Postpresbiterio [lettera D] [5° 6° e 7° gradino].
Monreale, Duomo. Stralcio planimetrico relativo alla pianta pavimentale del piano della Trinuna Maggiore [lettera E] e della Campata Centrale del Postpresbiterio [indicazione D.5]. Gradini di accesso ai piani del Postpresbiterio [5°, 6°, 7°], della Tribuna Maggiore [8°, 9°, 10°] e dell'altare [11°, 12°, 13°, 14°].
Monreale, Duomo. Gradini di accesso dal piano del'Antipresbiterio al piano del Presbiterio [3° e 4°].
Monreale, Duomo. Gradini di accesso dal piano dell'Aula Ecclesiale al piano dell'Antipresbiterio [1° e 2°].
Connessa al tipo di pavimentazione e alle caratteristiche del repertorio iconografico - consistente di trame lineari, trifilari [marmo-mosaico-marmo], che, evolvendosi nello spazio compositivo, determinano un'ordinata distribuzione di forme poligonali - [distinguere tra una semplice ed uniforme giustapposizione di lastre e un'articolata composizione che, estendendosi nello spazio del settore, vi sviluppi un determinato ed unitario soggetto figurativo] - è l'esigenza esecutiva di operare in aree di regolare forma geometrica. Pertanto, una superficie di forma complessa e articolata [1° caso], o resa tale dall'inserimento d'installazioni monumentali [altare maggiore, tombe reali centrali e a parete, tribune reale e vescovile] [2° caso], deve essere preliminarmente scomposta in una pluralità di aree di forma semplice e regolare, mediante un tracciato ortogonale di fasce di marmo bianco [gross framework]. [Esempio: la Campata Centrale del Postpresbiterio]
Monreale, Duomo. Scomposizione dei piani pavimentali del Postpresbiterio e della Tribuna Maggiore. [File: AA.PAVIM.LESENE.2.PC9]
Alla scomposizione della superficie in più settori si ricorre anche quando si tratta di diversificare la pavimentazione di ambiti contigui ma ricadenti in vani architettonici strutturalmente distinti: è il caso della pavimentazione dei fornici di collegamento [tappeti transitori] che, pur appartenendo allo stesso piano spaziale dei vani contigui, hanno una pavimentazione a se stante, differenziata da quella degli spazi limitrofi [figura].
Nell'alveo dei settori delimitati dalla struttura marmorea primaria [gross framework] si inseriscono composizioni marmoree trifilari a motivi geometrici, nelle quali, al marmo bianco usato in liste rette o, più raramente, circolari, compete la funzione di enunciazione del testo figurativo [light framework].
Per effetto della fitta parcellizzazione che si viene talvolta a determinare, il piano pavimentale assume l’aspetto di una variopinta e assortita distesa di tappeti - 48 in tutto - in mosaico e marmo, con figurazioni rigorosamente a motivi geometrici. La scelta di diversificare l'indicazione cromatica, con cui sono resi, nella Pianta dei tappeti pavimentali, i vari settori, serve ad evidenziarne le due differenti tecniche di realizzazione:
- a lastratura continua (o a piano unitario) in alcuni casi;
- a lastratura discontinua (o a iconografia strutturale) in altri.
Pianta iconografica dei tappeti pavimentali
Monreale, Duomo, Grande Presbiterio. Planimetria iconografica dei tappeti pavimentali.
Tipologie strutturali e funzionali [tappeti ambientali, transitori e onorifici]
La prima e più semplice classificazione dei tappeti pavimentali è quella che li distingue sulla base della funzione che essi svolgono. Nella maggior parte dei casi, il loro impiego ha lo scopo di conferire, od elevare, la dignità e il prestigio dell'ambiente di pertinenza. Per questa correlazione al vano architettonico, oltre che decorativi, tali tappeti possono anche definirsi ambientali. I tappetionorifici, più che in rapporto all'ambiente, lo sono ad una particolare opera che vi insiste o una particolare destinazione d'uso del luogo: il loro inserimento, in questo caso, è ritenuto idoneo a conferire maggiore solennità, suscitando, in chi si approssima, una particolare reazione emotiva di omaggio e riverenza.
Monreale, Duomo, Grande Presbiterio.
A sinistra: Pianta dei tappeti pavimentali distinti in base alla tecnica di esecuzione.
A destra: Pianta delle tipologie funzionali.
Distribuzione dei tappeti pavimentali per ambito spaziale di appartenenza
Antipresbiterio [5 tappeti]:
Campata sinistra, tappeti 1, 2 - Campata centrale, tappeto 3 - Campata destra, tappeti 4, 5.
Presbiterio [15 tappeti]:
Campata sinistra, tappeti 6-12 - Campata centrale, tappeti 13, 14 - Campata destra, tappeti 15-20.
Postpresbiterio [17 tappeti]:
Campata S. Paolo, tappeti 21-28 - Campata centrale, tappeti 29-33 - Campata S. Pietro, tappeti 34-37.
Tribuna Maggiore [11 tappeti]:
Tappeti 38-48.
Nella tecnica esecutiva detta "a lastratura continua" il blocco di marmo costituisce, di per sé, il supporto, monolitico e continuo, dell'impianto figurativo dell'opera. Il manufatto può essere, pertanto, integralmente prefabbricato altrove e montato in loco semplicemente assemblando i blocchi nelle posizioni assegnate. Nel Duomo di Monreale, la tecnica a lastratura continua è applicata in due varianti, una delle quali è esemplificata dal grande e straordinario settore n.7 della Campata di S. Luigi.
Figura. Monreale, Duomo. A sinistra:Campata di San Luigi, settore n. 9. A centro e a destra: Tribuna Maggiore, settori nn. 44 47. Le macchie di ruggine sono effetto d'antiche infiltrazioni d'acqua piovana dalla copertura.
Figura. Monreale, Duomo. A sinistra, l'indicazione dei relativi materiali: liste marmoree per la trama e dischi di porfido. Il primo grafico fornisce l'immagine percettiva dell'estensione e della distribuzione della componente resistente dello strato pavimentale; il secondo, la struttura del testo figurativo, che, com'è noto, coincide ed è veicolata dalla componente a stecche marmoree e dischi. A destra,in blu, la compagine strutturale del pavimento.
Nella tecnica detta "a iconografia strutturale" il procedimento esecutivo diverge nettamente da quello appena descritto. Le stecche di marmo, montate in opera, costituiscono esse stesse l'ossatura strutturale - e iconografica, al tempo stesso - del piano pavimentale. L'assenza di monoliticità della superficie di calpestio, e un uso non sempre appropriato dell'opera, hanno determinato condizioni di fragilità e diffusi micro-dissesti, consistenti in cedimenti, più o meno percepibili e più o meno estese, della superficie. I pavimenti delle Campate di S. Paolo e di S. Pietro [settori 22 e 37] sono esempi di strutture eseguite secondo la tecnica a iconografia strutturale.
Al di là della funzione di contribuire alla resa iconografica del testo figurativo, le liste marmoree e i dischi di porfido svolgono la funzione strutturale di elementi di irrigidimento, robustezza e indeformabilità del piano. Sotto questo aspetto, considerata l'eterogeneità degli strati di supporto e l'eventualità che essi possano, da subito o nel tempo, non costituire un'adeguata base monolitica d'imposta dello strato pavimentale di finitura, si comprende che tanto più frazionato è il decorso delle liste marmoree, tanto maggiore sarà la capacità del pavimento di assorbire le deformazioni e riassestarsi, e minore l'entità differenziale degli sprofondamenti.
In generale, ciò che distingue un tappeto pavimentale da un altro, oltre alla forma e alla grandezza del tappeto stesso, è la particolarità del suo impianto figurativo [light framework], ossia l'aspetto relativo alla formulazione [disegno] visiva del testo, espressa, com'è noto, dalla trama [si veda la pianta della Tribuna Maggiore nell'omonima sezione del sito]. Lo studio del decorso e della geometria delle tracce suggerisce una prima grossolana classificazione in trame a geometria retta, a geometria curva, a geometria mista.
Figura. Esempi di schemi iconografici [light framework].
Quando l'estensione dell'opera impone, per la sua vastità, un procedimento esecutivo di tipo modulare [è il caso, ad esempio, dei settori 7, 14, 22, 37, ecc.], la formulazione del brano unitario consiste, essenzialmente, nell'elaborazione di due distinte unità funzionali, il dispositivo modulare [depositario e veicolo dell'enunciato figurativo] e le strutture sintattiche accessorie di connessione dei moduli. A tali strutture, interposte tra due o più moduli contigui, compete la funzione di saldare la pluralità delle formulazioni modulari in una stesura dall'aspetto unitario. Nel caso della Campata di S. Paolo [settore 22] o di S. Pietro [settore 37], le strutture di interposizione possono essere di due tipi: di tipo binario, se la connessione coinvolge due moduli, quaternario, nel caso che essa coinvolga quattro moduli, come uno snodo. [Si rinvia alla relativa sezione.]
Figura. Monreale, Duomo. Campata di San Paolo: modulo n. 5. Esempio di esecuzione pavimentale "a iconografia strutturale". L'impianto figurativo del settore si compone di un aggregato di nove moduli quadrati, di cui quello centrale - in figura - è risolto mediante l'inserimento di un grande disco di porfido, che ne mette in risalto la posizione baricentrica.
Monreale, Duomo. Abside del Pantocràtore, lesene 130/S, 139/S, 142/D. L'uso di tracce ternarie, in alcune delle più antiche esecuzioni dell'Abside del Pantocràtore, costituisce un elemento di correlazione tra esse e la struttura ternaria delle tracce pavimentali. C'è tuttavia una differenza profonda tra le applicazioni parietali e le pavimentali: in queste, le tracce costituiscono elementi di divisione dei campi musivi e restano, pertanto, del tutto estranei alle dinamiche compositive delle formulazioni in mosaico; nelle lesene, invece, interferiscono con la formulazione del testo, costituendone parte integrante. Una specifica sezione degli studi sui dispositivi iconografici delle lesene affronta il problema delle interferenze, nei casi in cui esse diventano fattori determinanti del rigore e della precisione geometrica del testo figurativo [tipologie matematicamente condizionate].
Tipologie degli spazi compositivi
Gli spazi compositivi destinati all'inserimento dei brani musivi possono classificarsi in due specie: spazi mono- e spazi biassiali. I primi hanno uno sviluppo lineare; i secondi, bidimensionale, secondo forme geometriche originate dall'intreccio della trama. Tra gli spazi biassiali, per originalità iconografica, varietà di soluzioni, destrezza esecutiva dell'autore, chiamato spesso ad operare in spazi compositivi curveggianti cui adattare la rettilineità dei modelli figurativi, rivestono maggiore interesse gli spazi compositivi centrali e, in particolare, circolari. Ne operiamo, pertanto, un'ulteriore e più raffinata classificazione.
Figura. Esempi di lavorazione cosmatesca. Roma, Chiesa di San Saba. [Foto G. Oddo - Luglio 1998]
Spazi compositivi centrali
Si distinguono in:
- Spazi compositivi circolari
- Spazi compositivi ottagonali
- Spazi compositivi biquadratici
- Spazi compositivi a stella a otto punte
Trattazione a se stante è riservata alle aree compositive centrali del settore n. 7.
Spazi compositivi biquadratici.
Nella concezione degli impianti figurativi di tipo geometrico lo schema compositivo di più frequente ricorrenza è quello biquadratico. Uno schema biquadratico risulta dalla compenetrazione di due quadrati concentrici, congruenti o non, reciprocamente ruotati di 45°. Hanno la funzione di circoscrivere un brano compositivo centrale, caratterizzato da un nucleo circolare pieno [disco di porfido o serpentino] o vuototangente o indipendente. Il confronto dimensionale dei due quadrati e il rapporto di posizione tra l'uno e l'altro consentono di affinare, come segue, la classificazione:
- schemi concentrici congruenti;
- schemi concentrici non-congruenti;
- schemi eccentrici.
Figura. 1 Primo Quadrato. 2 Secondo Quadrato. 3 Sovrapposizione concentrica. 4. Sovrapposizione eccentrica.
Figura. Spazi compositivi biquadratici, Schemi concentrici congruenti. Settore 3, Aree centrali dei moduli 1, 2, 3. Gli esempi mostrano le tre possibili varianti risolutive, utilizzate nella redazione del testo figurativo inserito nei vuoti periferici dell'area biquadratica. L'impianto è del tipo a nucleo pieno [disco di porfido] indipendente [distanza del nucleo dai vertici del perimetro biquadratico]. Nel primo caso [figura A], le aree periferiche sono trattate come uno spazio unitario, indiviso. Nel secondo [figura B], sono divisi a spicchi da linee radiali rese evidenti dalla diversità delle soluzioni figurative adottate per ciascun alveo. Nella terza [figura C], per mezzo di corone circolari musive addizionali, si attua l'espansione del nucleo fino al contatto col dispositivo biquadratico d'inviluppo.
Figura. Spazi compositivi biquadratici. Settore 3, Modulo 1, Area centrale. Il modulo figurativo si incurva, circolarmente, ruotando attorno al disco centrale. L'effetto reale è la progressiva dilatazione [aumento delle dimensioni] centrifuga del modulo; l'effetto ottico, l'illusione che il dispositivo ruoti simultaneamente al nostro procedere.
Figura. Settore 3, Centri 2 e 3. [Disegno G. Oddo - Elaborazione digitale]
Figura. Settore 19, Centri G e H.